CEREALI E LEGUMI

a cura di Marco Manilla

Negli ultimi anni sono stati riscoperti in Abruzzo almeno una decina di grani antichi autoctoni; tra questi citiamo la saragolla o la ruscia (grani duri); mentre tra i grani teneri, citiamo: la solina, la casorella, la frasinese e la rosciola. Ma ecco una panoramica alquanto completa sui cereali antichi, uno straordinario patrimonio di bontà e salute.

Il Farro farro medio (Triticum dicoccum Schubler)

E’ il più antico cereale coltivato dall’uomo ed ancora oggi, per caratteristiche organolettiche e salutistiche è uno dei cereali più interessanti. La zona di produzione del farro comprende la fascia collinare interna e le zone pedemontane e montane delle quattro province d’Abruzzo. Il farro esprime il suo potenziale produttivo soprattutto in ambienti difficili e marginali; è tradizionalmente una coltura a bassissimo apporto energetico per il limitato numero di interventi colturali e, proprio per tale peculiarità, può essere annoverato tra i prodotti che più facilmente possono essere ottenuti con le metodologie dell’agricoltura biologica. Un elemento importante che attesta la presenza storica del farro in Abruzzo può essere considerato l’uso, comune in talune zone agricole della regione, della parola “livesa” termine dialettale che sta appunto a indicare il farro e distingue la “livesa bianca” (T. spelta) dalla “livesa rossa” (T. dicoccum). In Abruzzo viene coltivato quasi esclusivamente il farro medio, ovvero quello appartenente alla specie botanica Triticum dicoccum; in seguito a un lavoro di caratterizzazione morfo-fisiologica delle popolazioni di farro abruzzese, sono stati individuati tre tipi di farro medio e cioè il tipo “Garfagnana”, con spiga grande, da mutica a completamente aristata e habitus invernale. Il tipo “Italia Centrale” con caratteristiche assimilabili alla popolazione coltivata nella zona di Leonessa (Ri) e Monteleone di Spoleto (Pg), con spiga piccola, sottile, aristata e habitus primaverile. Ed infine il tipo “Italia Meridionale”, con spiga grande, completamente aristata e habitus invernale. La resa in granella “vestita” varia in funzione del tipo di farro medio coltivato e si aggira intorno ai 20-25 q/ha per il tipo “Italia Centrale” e ai 30 q/ha per il tipo “Italia meridionale”, da cui si ottiene dopo decorticazione una resa in granella nuda del 60-65% circa. Il farro può essere trovato sotto forma di chicchi perlati, puls, farina, pasta e spezzato di farro. Notevole sono le sue attitudini salutistiche per la presenza delle vitamine del gruppo B, il magnesio, lo zinco e per la sua grande digeribilità.

Grano tenero Solina frumento tenero (Triticum. aestivum L.)

Tra i frumenti teneri la varietà locale più importante è certamente la Solina, sia in termini di numerosità delle accessioni rinvenute, sia come superfici coltivate (piccole superfici in diverse aziende delle zone montane e pedemontane dell’Abruzzo interno), sia in termini di legami con il territorio e con le tradizioni locali. La Solina è un frumento tenero (Triticum aestivum) ad habitus nettamente invernale (non può essere seminata in primavera). È caratterizzato da taglia elevata (110-135 cm), spiga aristata di dimensioni medio- lunghe (8,0-9,5 cm) e di colorazione bianca, le ariste sono dello stesso colore della spiga. È una varietà tardiva nella spigatura e nella maturazione. Produce cariossidi grandi (42-46 mg, lunghe da 2,85 a 2,95 mm), discretamente provvisti di proteine (13,5-15,5%). Molto rustica, ben adattata a terreni poveri, molto resistente al freddo, di produttività limitata (al massimo 20 q/ha), ma dalle produzioni costanti. Il territorio interessato alla coltivazione del grano tenero solina comprende tutta le aree montane della regione e quindi si tratta di una varietà adattata a crescere nei terreni marginali di montagna. La sua frugalità la rende adatta alla coltivazione con i metodi dell’agricoltura biologica, in quanto non richiede elevati apporti di azoto e, grazie alla sua taglia ed alla sua capacità di accestimento, riesce a competere con le erbe infestanti, non rendendo così necessario il ricorso al diserbo chimico. Del resto, questo discorso vale per tutti i cereali antichi, che si prestano ottimamente alla coltivazione biologica con scarsi apporti di input esterni, quali concimazione,diserbo e trattamenti. Diversi proverbi testimoniano la stretta connessione tra questa varietà e la vita del popolo abruzzese. In particolare la caratteristica più apprezzata è la sua costanza produttiva, che in passato, garantiva l’alimentazione e quindi la sopravvivenza delle famiglie. In alcuni detti popolari si esaltano le elevate caratteristiche organolettiche di questo frumento; infatti, si sostiene, a ragione, che “quella di Solina aggiusta tutte le farine”. La sua ancestralità è testimoniata oltre che dai detti popolari, anche da diversi documenti storici tra i quali, il più antico risale al XVI secolo e riguarda una compravendita di grano solina alla fiera di Lanciano. Dal grano di Solina si ricava una farina classificabile tra quelle direttamente panificabili e poco tenace, adatta alla lavorazione La farina di “Solina” è utilizzata quasi esclusivamente per fare il pane e la pasta in casa, tradizione ancora diffusa in Abruzzo.

Grano tenero Rosciola frumento tenero (triticum aestivum)

La rosciola è un grano tenero a taglia alta, molto rustico e adattato nel corso dei secoli alla coltivazione in terreni marginali di montagna. Il grano tenero rosciola è dotato di una arista medio-lunga ed ha un caratteristico colore rossiccio che lo rende diverso da tutti gli altri grani. Dai racconti orali e da fonti storiche, risulta che la rosciola era coltivata in passato in diverse aree montane, tra cui certamente la Maiella. Tuttavia, la popolazione rinvenuta e riprodotta è peculiare del versante occidentale del Gran Sasso, e ad oggi, sembra essere l’ultima rimasta e dunque rarissima. Gli anziani contadini ricordano numerose piccole valli e altipiani di montagna che assumevano il caratteristico colore rossiccio dal notevole effetto estetico. Si tratta di un grano molto antico, assai simile per caratteristiche agronomiche, morfologiche, ciclo fenologico e taglia al grano tenero solina, con il quale condivide anche la notevole rusticità. Rispetto alla solina ha una resa maggiore sebbene sempre bassa (18/20/25 q/li ad ettaro); inoltre resiste meglio all’allettamento perché ha un fusto dotato di uno spessore maggiore ed anche nel caso di allettamento la pianta può essere comunque trebbiata poiché non giace a terra in modo completo come accade per altri cereali. La rosciola sopporta bene sia il freddo che la siccità e cresce bene in terreni marginali anche se rende meglio nei fondi vallivi montani, soprattutto doline e siti ricchi di terreni sedimentari scuri. In ogni caso, l’areale di coltivazione si è notevolmente abbassato di quota e la maggior parte dei pochi campi destinati alla coltivazione della rosciola si trova intorno ai 900-1.000 slm. Il germoplasma è stato reperito nel versante orientale del Gran Sasso, nel cuore del parco nazionale, nei comuni di Castel del Monte, Calascio, Santo Stefano di Sessanio e Barisciano. Il seme originario è stato reperito a Calascio con il progetto “Cerere” del parco nazionale del Gran Sasso I contadini lo hanno coltivato sino ai nostri giorni per la bontà della farina e la proverbiale rusticità della pianta. I terreni coltivati con la rosciola, ma anche con altri grani antichi, vengono fertilizzati con rotazioni con leguminose sfruttando la proverbiale rusticità di piante comunque adattate da secoli alla frugalità. Anche il diserbo è praticamente sconosciuto poiché le piante dei grani antichi hanno stabilito una armonica e secolare convivenza con le piante archeofite a ciclo breve e non invasive (fiordaliso, papavero ecc). Da un punto di vista nutrizionale la rosciola, così come tutti i grani antichi, è caratterizzata da un amido dove prevale la catena molecolare dell’amilosio e dunque ciò significa per il nostro organismo una migliore digeribilità, un’energia assimilata più lentamente e per un tempo più lungo e dunque un innalzamento più dolce del picco glicemico. Inoltre, i cereali antichi hanno un tipo di glutine più digeribile e una gamma di sostanze antiossidanti veramente ragguardevole. (Fonte Università di Firenze). Dal punto di vista della trasformazione, si ottiene una farina particolarmente adatta per la panificazione, per la produzione di dolci tipici e per la preparazione di paste tradizionali fatte a mano. Ultimamente, dopo alcune sperimentazioni, si è visto che la rosciola ha una ottima attitudine ad essere trasformata in pasta secca nei classici formati tipici, dove digeribilità, consistenza perfetta e sapore delicato, creano un mix organolettico di grande interesse e particolarità e dunque notevoli possibilità di valorizzazione. Interessante anche la qualità e varietà di fattori vitali e di proteine (14%). Tutto ciò garantisce una consistenza della pasta tipica di un grano duro di qualità eccellente, ma con la gentilezza tipica della farina del grano tenero. Il risultato è una digeribilità elevata, un grande potere nutrizionale, senso di benessere, leggerezza e gusto. La versatilità della farina di rosciola, ma anche di quella della solina è dovuta al fenomeno della mutazione genetica di tipo adattivo. In altri termini, questi grani teneri hanno sviluppato alcune caratteristiche dei grani duri.

Altre varietà antiche di grano tenero.

Oltre alla Solina, sono state ritrovate altre varietà locali di frumento tenero, “Bianchetta” o “Biancola”, la Casorella, e poi “Belvedere”, “Frassinese o Frasinese”. Quest’ultima, con buona probabilità, deriva da Frassineto, varietà molto diffusa in Italia intorno alla prima metà del XX secolo. In particolare “Bianchetta” presenta caratteristiche molto simili alla popolazione “Solina”, habitus invernale, taglia medio-alta, portamento molto prostrato della pianta. Anche in questo caso la popolazione è un insieme di individui con caratteristiche diverse, nel materiale analizzato coesistono circa al 50% tipi mutici con tipi aristati e, al pari di “Solina”, si rileva variabilità nel grado di glaucescenza e di taglia. Un’altra denominazione,“Marzuolo”, è stata utilizzata sia per il frumento tenero che per il duro nella zona di Montenerodomo (provincia di Chieti). In realtà potrebbe effettivamente essere usata la stessa denominazione per accessioni di entrambe le specie perché “marzuolo” è l’appellativo attribuito alle varietà alternative o primaverili.

Frumento tenero: Bianchetta e Frassinese

Le varietà Bianchetta e Frassinese sono un insieme di fenotipi mutici ed aristati con prevalenza dei primi. Pur essendo identificate come due varietà diverse per nome e per zona di rinvenimento, presentano un aspetto molto simile. Il Frassinese somiglia nel nome ad una vecchia varietà migliorata e introdotta in coltivazione nel 1917, il Frassineto. Quest’ultimo era però aristato mentre il Frassinese è in prevalenza mutico, resta pertanto da indagare sull’origine di questa varietà. Le accessioni di Bianchetta e Frassinese collezionate provengono dalla zona dell’alto vastese, il Frassinese è stato rinvenuto anche nella zona di Abbateggio. Ancora oggi, in alcune famiglie in cui si panifica in casa, nel vastese montano, la Bianchetta è ricercata per il candore e la sofficità che dà al pane.

Frumento tenero: Casorella

La varietà Casorella presenta caratteristiche fenotipiche uniformi con spiga mutica di colore rossiccio. E’ piuttosto tardiva e di taglia elevata, è stata rinvenuta nella zona dell’alto vastese, ma anche sulla Maiella.

Grano duro Saragolla - frumento duro (Triticum. turgidum ssp. durum Desf.) var. turchesca

Il grano duro saragolla era coltivato nelle aree montane abruzzesi. Popolazioni coltivate di saragolla sono state rinvenute al momento, nei monti della Laga e nella Maiella occidentale. Si tratta di un grano duro che ha origini antichissime. La saragolla è coltivata nell'Appennino abruzzese e nelle aree collinari da secoli. Le qualità nutrizionali derivano dal fatto di essersi conservato puro da interventi di ibridazione. Vediamo come lo storico teramano Quartapelle descrive nel 1801 l'antica coltura della saragolla: "I nostri agricoltori distinguono diverse specie di grani, chimandone altri duri ed altri bianchi. Fra i primi occupa il principal luogo la Saragolla, i cui acini sono lunghetti, sodi e di color biondo….Le migliori saragolle del nostro Regno, ottime per far le paste, si seminano in Novembre, Dicembre". La saragolla o "saravolle" è un grano lungo, gialliccio, pesante e di gran durata, geneticamente assimilabile al "Kamut" e con caratteristiche molto simili al grano duro "Senatore Cappelli", che ha in gran parte sostituito la Saragolla nel novecento.

Frumento duro Senatore Cappelli.

È da ritenersi probabilmente discendente diretta della varietà migliorata Senatore Cappelli, costituita da Nazareno Strampelli nel 1915. Si rinviene in sporadiche coltivazioni nel basso chetino. Nella tradizione contadina della zona Frentana era uso fare il pane con il semolato di frumento duro e, siccome la varietà più diffusa, che da sola rappresentava la coltura, era il Cappelli, il nome è passato al pane: il cosiddetto “pane Cappelli”. Attualmente la varietà è stata reiscritta al registro varietale ed è tornata in coltivazione presso un ristretto numero di aziende in diverse aree della Regione.

Frumento duro: La Ruscìa.


Si tratta di una varietà locale siciliana introdotta in Valle Subequana nel secondo dopoguerra da parte di un confinato. Per oltre 60 anni è stata poi riprodotta in ambiente montano, ad oltre 1000 metri s.l.m. diventando nel corso degli anni una varietà di frumento duro di montagna. È attualmente coltivato da alcune aziende del Consorzio Produttori Solina d’Abruzzo.

Frumento duro: Marzuolo.

Si tratta di un frumento duro il cui nome è da attribuire all’epoca di semina primaverile, soprattutto nelle zone di media montagna. È stato rinvenuto nella zona dell’alto vastese.

Il granoturco

Il mais è un cereale entrato nella tradizione contadina in modo importante. Da un punto di vista nutrizionale è un cereale povero con proteine a valore biologico inferiore. In compenso è facilmente digeribile, è particolarmente ricco di fosforo e di glucidi: è quindi un cereale energetico. In passato, veniva utilizzato in diversi piatti, come la classica polenta, ma anche la tradizionale "pizza e foglie". Altra caratteristica del mais è che non contiene glutine e questo lo rende prezioso per i celiaci e comunque per tutti coloro che soffrono di intolleranze. Negli ultimi anni si vanno riscoprendo le varietà antiche di granoturco, poco produttive ma che non abbisognano di irrigazioni, elemento questo, molto importante e che, anche se hanno delle rese basse, producono una farina dalle notevoli caratteristiche organolettiche. Tra le varietà antiche autoctone, citiamo la "maglianella" della Marsica, oppure la "quarantana o quarantino” coltivata nelle zone montane dell'aquilano e nelle aree di collina ed infine, la varietà “otto file”, tipica soprattutto delle aree collinari. Tali antiche varietà risalgono comunque all’ottocento e sono caratterizzate dalla presenza di chicchi piccoli, dal colore rosso aranciato, a volte tendente al violaceo o al giallo aranciato.

Orzo – (Hordeum vulgare L.)

Nell’orzo la perdita di materiale genetico è stata molto forte in quanto, essendo destinato soprattutto alla produzione mangimistica, si è avuta una forte spinta alla sostituzione varietale, specie nel corso degli anni ’80 del secolo scorso. Sono state rinvenute in prevalenza varietà distiche a semina primaverile e varietà polistiche a semina autunnale. Una delle varietà distiche è a cariosside nuda, l’orzo mondo e per questo molto interessante per impieghi alternativi, ad esempio la torrefazione per la produzione del cosiddetto caffè d’orzo. Le varietà in collezione sono provenienti dalla zona montana della provincia dell’Aquila ed alcune dalla provincia di Teramo. Tra queste, da citare è sicuramente “l’orzo marzuolo”, a semina primaverile, che per caratteristiche morfologiche, agronomiche e organolettiche, ha potenzialità notevolissime di valorizzazione.

Segale

La coltura della segale era un tempo molto diffusa, soprattutto per uso zootecnico. Nel corso degli anni ’60 e ’70 è da registrare l’introduzione di varietà cosiddette “americane” a taglia più bassa. È molto probabile, dato che la segale è ad impollinazione incrociata, che le poche varietà locali raccolte siano il risultato di incroci spontanei delle varietà migliorate introdotte con le vecchie varietà preesistenti. Delle tre accessioni in collezione due provengono dalla provincia dell’Aquila una dalla provincia di Chieti.

I legumi dimenticati

I legumi erano alla base dell'alimentazione contadina, utilizzati soprattutto in combinazione con i cereali. In questo modo, come ha scoperto recentemente la ricerca scientifica, i legumi possono sostituire efficacemente l'apporto proteico della carne, poco presente sulla tavola contadina. Un piatto di pasta e ceci, ad esempio, ha tutti gli aminoacidi essenziali, poiché le proteine di cereali e legumi si completano a vicenda. Negli ultimi decenni numerosi tipi di legumi sono stati dimenticati o abbandonati, proprio perché sono cambiate radicalmente le abitudini alimentari. Con la riscoperta dei prodotti tipici e la valorizzazione della cucina popolare del territorio, è nata una nuova sensibilità che ha portato alla riscoperta dei cereali antichi e dei legumi. Ancora negli anni quaranta e cinquanta, gli italiani consumavano in media circa 30 kg pro-capite di legumi e solo 20 kg di carne. Oggi, si consumano circa 6 kg procapite di legumi ed 80/120 kg procapite di carne. Una trasformazione evidente nelle abitudini alimentari che presenta una serie di incongruenze. In primo luogo, i legumi sono alla base, insieme ai cereali, della dieta mediterranea. Dal punto di vista nutrizionale non presentano alcuna controindicazione, ricchi come sono, di proteine, sali minerali, fibra e vitamine. Hanno poche sostanze amidacee, quindi i legumi hanno poche calorie e si prestano bene per una alimentazione naturale e dietetica. Per la loro coltivazione, non abbisognano di irrigazioni, ad eccezione di alcune varietà di fagioli, crescono in terreni anche poveri, non abbisognano di concimazioni chimiche e sono rustici. Sono piante molto adatte ad essere coltivate in modo biologico ed anzi, essendo della famiglia delle leguminose, arricchiscono il terreno di azoto. I legumi sono molto rustici, ottimi per essere coltivati in modo biologico, perché non abbisognano di concimazioni, adattati da secoli e millenni, ad essere coltivati in clima rigido, arido. Si tratta di piante, talvolta mai ibridate, assimilabili a piante selvatiche, quindi siamo nell’ambito di una coltivazione biologica naturale. Le ricerche compiute sul campo hanno evidenziato la presenza di una grande varietà di legumi. Nel passato le comunità contadine, nel chiuso di contesti territoriali con pochi scambi verso l'esterno, hanno selezionato diverse varietà di leguminose da granella utilizzate per l'alimentazione umana. Ecco dunque, le lenticchie nere di Santo Stefano oppure quelle di Terranera, i ceci di Navelli, i ceci della Maiella occidentale, i ceci della valle Peligna, le cicerchie di Castelvecchio Calvisio, i fagioli di Montereale e di Paganica, i ceci di Capitignano, i fagioli ad olio, i fagioli poverelli, la favetta della Maiella, i fagioli di Frattura. L'elenco potrebbe continuare a lungo, si pensi che solo nella valle Peligna si contano una decina di varietà di legumi con caratteristiche distintive. La varietà di forme, di colori e sapori è un patrimonio da non perdere ed oggi alcuni agricoltori sensibili stanno mettendo di nuovo a coltura le antiche varietà alla riscoperta di un patrimonio che rischiava di andare perduto.

Lenticchie nere di Santo Stefano di Sessanio e gli altri ecotipi di lenticchie della Regione ( Lens culinaris subsp. Microsperma)

La lenticchia di Santo Stefano di Sessanio è coltivata in montagna, nel cuore del parco nazionale Gran Sasso-Laga, in terreni marginali, situati fra i 1000 e i 1600 metri di altitudine. Questo ecotipo è coltivato da secoli su queste montagne dal clima rigido. Il seme, della varietà microsperma (di piccola taglia, tondo e nero) ha sviluppato una elevata capacità di resistenza al freddo ed all’aridità. Una varietà simile con caratteristiche del tutto comparabili, è la lenticchia d Terranera, nei pressi di Rocca di Mezzo, recentemente salvata e rimessa a coltura. Ma vi sono anche altre accesioni sempre a seme piccolo, del tipo microsperma, tra cui è da citare la lenticchia di Capistrello o quella di Montereale. La lenticchia di Santo Stefano viene coltivata in terreni di deposito su piccoli fondovalle o altipiani minori, particolarmente ricchi di potassio. Le particolari condizioni pedoclimatiche consentono di ottenere un prodotto naturale, quasi selvatico: quindi, molto più che biologico. Non si applicano e non servono, concimazioni chimiche e non si registrano particolari malattie della pianta. Le lenticchie nere di montagna sono piccole, saporite, di colore più scuro rispetto alle altre varietà, non hanno bisogno di stare in ammollo prima di essere consumate, sono di rapida cottura e si mantengono integre una volta cotte. Un alimento molto proteico, infatti le lenticchie sono composte da circa il 30% di proteine, il 50% di amido e molto importante è anche la componente minerale, con un alto contenuto di fosforo, potassio, magnesio, ferro e calcio. Consistente anche il contenuto in fibra e dunque da raccomandare per migliorare il funzionamento dell’intestino. Questo ecotipo di lenticchia si è adattato dunque a condizioni climatiche estreme, con estati secche e temperature primaverili che spesso scendono sotto lo zero termico. All’aspetto si presenta di dimensioni piccole con diametro che non supera i 4 mm e con peso di 26 mg. Il colore è nero o marrone scuro.

Il cece (cicer aretinum)

Ne sono state ritrovate diverse popolazioni in varie zone della regione. Le varietà collezionate sono caratterizzate dal seme molto piccolo, alcune sono a tegumento liscio, altre sono a tegumento rugoso. Sulla specie non è stato effettuato alcun lavoro di caratterizzazione per cui le accessioni sono tutte da destinare. Cece dell’Altopiano di Navelli, ritrovato in numero di due accessioni, una a seme piccolo rugoso, un’altra a seme grosso. Cece della Valle Subequana, presente con due accessioni, una a seme particolarmente piccolo, un’altra a seme leggermente più grosso. Cece dell’Alta Valle dell’Aterno, ritrovata una sola accessione a tegumento liscio.

Leguminose da granella: il fagiolo - Phaseolus vulgaris

Il fagiolo è una specie molto coltivata ed infatti, in Abruzzo si contano numerose varietà con caratteristiche molto diversificate. Di seguito ne citiamo alcune. Fagiolo a Olio Aquilano, si tratta di una popolazione rinvenuta nella piana di Onna-Paganica dalle ottime caratteristiche organolettiche. Fagiolo mangiatutto, ritrovato in Valle Peligna, è particolarmente destinato al consumo come fagiolino; Fagiolo a pisello, ugualmente originario della pana di Onna-Paganica, si coltiva in zona dal sec. XIX, molto apprezzato per la sua delicatezza; Fagiolo Ciavattone, si tratta di Phaseolus coccineus ancora limitatamente coltivato nella Valle del Sagittario dal colore completamente bianco; Fagiolo a pane, si tratta di un borlotto coltivato in Valle Peligna, Fagiolo tabacchino, dal colore giallo, rinvenuto in Valle Peligna. Fagiolo tondino di Sulmona, caratterizzato da un’estrema sottigliezza del tegumento e dalla facilità di cottura corredata da un’ottima consistenza. Fagiolo Cannellino di Pratola Peligna, molto delicato, di forma quasi ellissoidale, legato ad alcune particolari ricette del paese; Fagiolo Fagiolone, rinvenuto in Valle Subequana è un P. coccineus dal caratteristico tegumento screziato dal nero al viola. Fagiolo Tondino del Tavo, della famiglia dei tondini dal tegumento sottile, si coltivava generalmente in secondo raccolto dopo cereali. Fagiolo tondino di Rapino, ancora un tondino proveniente da una zona di montagna. Fagiolo quaranta giorni: rinvenuto nella zona di Pizzoferrato, si caratterizza per il ciclo precoce. Fagiolo a Pane, questo sta spesso ad indicare tipi di fagioli diversi, in questo caso si tratta di un fagiolo dal tegumento uniforme di colore marrone chiaro, alcuni riferiscono che il nome derivi dalla sua consistenza e dal sapore che ricorda quello del pane. Fagiolo Cannellino, si tratta di un’altra grande famiglia di fagioli, in questo caso rinvenuto nella zona di Rapino, Pizzoferrato, citato nel 1811 come già presente in zona in un testo di Alfiero Ossario (De Marco 1988). Fagiolo a caffè, fagiolo a ciclo precoce, il cui uso prevalente è a fagiolino verde. Ritrovato nella zona di Pizzoferrato. Fagiolo Gentile, collezionato nella Valle Peligna, è un fagiolo della specie Vigna unguiculata, coltivato in Europa prima dell’arrivo del Phaseolus dalle americhe. Fagiolo poverello, rinvenuto sul versante meridionale del Gran Sasso, è un fagiolo a taglia piccola, completamente bianco e ovoidale, dalla buccia tenera, si cuoce velocemente e rimane molto delicato come consistenza e sapore.

Fagioli di Paganica

La specie di fagioli (Phaseolus vulgaris) coltivata a Paganica, Tempera, Onna, Bazzano e San Gregorio nel Comune di L’Aquila, ha dato origine a due varietà locali (ecotipi) che si differenziano fra loro per alcune caratteristiche morfologiche: il fagiolo a olio e il fagiolo a pane (a pisello), entrambi rampicanti. Il fagiolo a olio è di colore giallo-avana-nocciola mentre quello a pane è bianco latteo. L'area di produzione di questi legumi ricade nella conca del fiume Vera, le cui sorgenti sgorgano dalle falde del Gran Sasso.

La Fava

Si tratta di un legume poco diffuso in regione. Ciò non toglie che in passato abbia avuto un ruolo importante nell’alimentazione umana. Prova ne sono i diversi piatti della tradizione contadina, soprattutto le minestre con fave secche cotte con la pasta corta. La Mezza fava, è abbastanza comune sul versante orientale della Majella, si conserva secca come tutti i legumi ed ha bisogno di un prolungato ammollo prima della cottura.

La Cicerchia

La cicerchia è scomparsa dalle abitudini alimentari della maggior parte della popolazione. Tuttavia nelle zone di montagna la sua presenza, su piccole superfici e per uso esclusivamente domestico è costante. Fa eccezione Castelveccchio Calvisio dove si svolge una piccola sagra che mira a rivalutare il legume e dove le superfici coltivate sono di alcuni ettari. Sulle specie, tuttavia, devono essere effettuate le attività di caratterizzazione.