SPECIALITA' ALIMENTARI
L'olio agrumato
Lungo la costa frentana, i declivi tra San Vito Chietino e Fossacesia sono da sempre impreziositi da una coltivazione rara per l’Abruzzo, quella degli agrumi. I giardini pieni di olivi e di agrumi non sono dunque un fatto eccentrico, ma rientrano pienamente nella tradizione locale. In quest’area, da almeno un secolo i contadini hanno inventato un prodotto straordinario: l’olio extravergine d’oliva agrumato. Nulla a che vedere con gli oli aromatizzati che vengono ottenuti con un procedimento diverso e cioè con la macerazione. Si tratta di un prodotto fantastico, con qualità organolettiche fuori dal comune, apprezzate dai migliori cuochi. Se ne ottiene un condimento dal gusto particolare, un succo di frutta pieno di virtù, dove alle caratteristiche qualitative ed organolettiche di un buon olio extravergine d’oliva, si aggiungono quelle del limone o dell’arancio. Il risultato è un olio che assume delle note organolettiche complesse e variegate, dove si riconoscono le note dell’amaro, del piccante, del dolce, soffuse lievemente dalla delicatezza del gusto acido del limone, reso armonico con la struttura saporifica di fondo dell’olio d’oliva. L’olio agrumato viene ottenuto dalla spremitura contemporanea in macine in pietra, di olive e limoni o arance biologiche. La pasta che se ricava viene estratta a pressione controllata, con notevole allungamento dei tempi di lavorazione e con rese di olio minori del normale. Con la centrifugazione, il succo di limone e l’acqua, avendo un peso specifico simile vengono separate dall’olio, il quale rimane però imbevuto del profumo e dell’aroma del limone. Oggi si producono versioni di olio agrumato anche con arance. Il fenomeno si spiega con la proprietà che ha l’olio di assorbire la componente olfattiva di tutto ciò con cui viene a contatto. Infatti, se sottoposto ad analisi chimiche questo prodotto risulterebbe olio extravergine di oliva, privo di elementi, ma all’analisi olfattiva presenta un sentore netto di limone, arancia o mandarino. Il limone è il frutto più utilizzato per la sua capacità di accostarsi bene con i piatti più disparati. L’olio d’oliva trattiene il profumo degli agrumi, pur non avendone mantenuto nessuna traccia ed il risultato è veramente singolare e l’olio stesso sembra assumere una consistenza morbida e un sapore delicato e fruttato, ricompreso tra le variazioni di gamma tra l’acido ed il dolce. L’olio assume una sua caratteristica limpidezza, un sentore di mandorlato agrumato. L’olio extravergine d’oliva agrumato si sposa bene con arrosti di carni bianche, pesce e insalate. È ottimo in tutti gli utilizzi a crudo, in primo luogo sulle insalate, sulle verdure, sui formaggi freschi, soprattutto su quelli caprini e sulla ricotta, sugli antipasti di pesce, ma anche come condimento per la pasta e le minestre, che assumono un tratto elegante. L’olio agrumato al limone, come detto, è di più facile accostamento, ma anche gli agrumati all’arancio ed al mandarino sono veramente eccellenti per preparazioni gastronomiche particolari.
Lo Zafferano (crocus sativus)
Originario del Medio Oriente, il bulbo dai preziosi fiori viola è stato introdotto per la prima volta in Abruzzo intorno al 1300 per opera di un frate domenicano, tale Domenico Santucci di Navelli. Fu così che i primi bulbi di "crocus sativus", pianta da cui ha origine la spezia-droga dall'aroma inconfondibile, conosciuta nell'antichità per le sue eccezionali proprietà terapeutiche, approdarono nel cuore dell'Abruzzo e misero le radici nell'area compresa tra Navelli, Civitaretenga, Caporciano, San Pio delle Camere, Prata D'Ansidonia e poi nella media valle dell’Aterno, sino all’Aquila. Già nel quattrocento lo zafferano aquilano veniva esportato a Venezia e in Germania. Il particolare procedimento di lavorazione della spezia segue ancora la tradizione che è stata tramandata nei secoli. Basti pensare che la coltivazione dei fiori di zafferano è ancora manuale e la raccolta, nel breve periodo della fioritura, si effettua al mattino presto prima che i fiori siano completamente schiusi. Per avere un chilogrammo di zafferano in fili occorrono circa duecentomila fiori, ma sono sufficienti pochi centigrammi di stimmi per dar sapore e colore a preparazioni gastronomiche, come pure a bevande alcoliche, profumi e perfino preparazioni di tinture. L'impiego dello zafferano nella dieta alimentare va raccomandato per le sue molteplici proprietà toniche, rigeneranti, antinfiammatorie, digestive e stimolanti che l'aromatica spezia esercita sul nostro organismo. In commercio lo zafferano è disponibile macinato in bustine già dosate, oppure in barattolo con i filamenti ancora integri. Il contenuto di safranale dello zafferano aquilano è tra i più elevati in Italia e nel mondo. Si tratta di una sostanza con una potente azione antiossidante, paragonabile a quella del resveratrolo contenuto nel vino rosso. Quindi, un buon piatto condito con lo zafferano oltre ad essere buono è anche salutare. Tuttavia per avere una azione antiossidante più efficace, bisognerebbe fare una cura con un estratto concentrato, ma visto il costo della spezia, al momento, è poco realizzabile. Nella tradizione popolare, si usa lo zafferano con vino caldo e miele, per prevenire le malattie da raffreddamento. Il nostro zafferano è coltivato in modo naturale nei campi dell’altipiano di Navelli, senza l’utilizzo di concimi chimici e può fregiarsi della “Dop zafferano aquilano”, quindi sottoposto a controlli sulla coltivazione e nel rispetto di un disciplinare.
Le confetture e le conserve, la marmellata d’uva "scrucchiata" o “sfracchiata”.
Anche in Abruzzo, così come nel resto del paese, è molto sentita la tradizione del conservare la frutta e gli ortaggi in barattolo, sottolio, sottaceto, sotto sale o di ottenerne delle composte con lo zucchero: le confetture. Senza scendere a parlare delle tante varietà di frutta e ortaggi che oggi vengono trasformate in conserve e confetture, citiamo solo quei prodotti che presentano delle peculiarità tradizionali. Al riguardo notevole appare la cosidetta “sfracchiata” o "scrucchiata" e cioè la marmellata di uva. Essa fa parte pienamente della tradizione regionale. Si ottiene spremendo gli acini maturi e violacei del prezioso montepulciano d’abruzzo, che anche in questo campo da il meglio di se stesso. Poi vengono tolti i semi e si procede alla concentrazione tramite cottura, senza aggiunta di zucchero, poiché l’uva ne è già molto ricca. Il risultato è un prodotto unico, eccellente e a dispetto delle altre marmellate, perfino salutare. La “scrocchiata” viene utilizzata per insaporire numerosi dolci tradizionali, ad esempio per riempire le crostate, per le “Coperchiole” o i “Cauciunitti”. Tra le conserve sottolio sono da menzionare sicuramente le olive sottolio ed in particolare le olive "Intosso" da mensa del casolano e le olive ascolane dell’area teramana. Le mele vengono utilizzate anche in cucina, le mele fritte, le meloncelle al forno; così come le melecotogne da cui si ricava la cotognata, antica tradizione che viene ancora seguita nelle comunità contadine e viene preparata nelle case per tenerla nella dispensa insieme alle provviste per l’inverno, oppure le cotogne al forno o il liquore di cotogne. Con i fichi, oltre ai fichi secchi o carracini, si preparano anche i fichi sciroppati, o i fichi secchi al forno. Con le mandorle si preparano i “nocci attorrati” e cioè i semi cotti con zucchero o miele. Le noci entrano in diversi piatti montanari oppure vengono utilizzate per produrre il pane con le noci o il famoso nocino e così pure le castagne, mangiate arrostite o in piatti con ceci e altri legumi. Con le “cerasole” e cioè i frutti delle amarene, si produce la ratafia, raffinato e classico liquore dolce da fine pasto per le grandi occasioni.
Il vino cotto e il mosto cotto
La tradizione del vino cotto, e soprattutto, quella del mosto cotto, è legata agli eventi stagionali della cultura contadina. Il mosto cotto veniva utilizzato come dolcificante anche perché nel passato lo zucchero era inesistente, o più recentemente, difficile da trovare. Quindi, il mosto cotto rappresentava il dolce ed era associato alle feste natalizie e tradizionali. Ha un caratteristico colore violaceo scuro e un sapore molto dolce. Il vino cotto è un prodotto raro, di grande qualità, che richiede molti anni di invecchiamento: soprattutto, non va confuso con il mosto cotto, che si ottiene con un procedimento più semplice.
Il mosto cotto si ottiene per concentrazione degli zuccheri naturali dell’uva di Montepulciano, con una lenta e lunga cottura. La procedura tradizionale è la seguente. Si prendono 80 litri di mosto che si mettono a bollire in una grossa “cottora” di rame per alcune ore a fuoco lento, sino ad ottenere 20 litri di mosto concentrato. Il mosto cotto ottenuto si lascia raffreddare e si imbottiglia per la conservazione, che può durare anche due o tre anni, perché garantita dall’elevato tenore zuccherino. Per ottenere il vino cotto, si aggiungono al mosto cotto, circa 80 litri di mosto naturale e si fa fermentare come per una normale vinificazione. La grande concentrazione zuccherina ottenuta con la cottura del mosto, la lunga stagionatura in botti di rovere, (anche dieci anni), creano un prodotto dal gusto elegante, complesso e ricco di spunti floreali che fanno pensare ai frutti di bosco maturi, alla liquirizia, ad alcune spezie, alle mandorle e al cioccolato fondente aromatizzato. Il sapore ricorda anche il vino passito e il colore è quello di un cognac. Un prodotto raro e di grande pregio per un ottimo dessert o per la meditazione. Si accompagna con i dolci secchi tipici del territorio.
I fichi secchi ovvero i carracini
La tradizione di conservare i fichi con l’essiccatura era molto sentita nel passato, poiché in questo modo si potevano conservare in pieno inverno, preziosi elementi nutritivi. Nella cultura contadina i fichi secchi hanno sempre rappresentato il dolce principale delle tradizioni natalizie. La produzione di fichi secchi era diffusa un po’ in tutta la regione, ma particolarmente sentita nella zona di Tocco Casauria, Castiglione a Casauria e Popoli, dove particolarmente abbondante era la produzione di numerose varietà di fichi. Oggi non rimangono che due o tre famiglie a mantenere una tradizione quasi scomparsa. Ottimi per la conservazione mediante essiccatura, sono i fichi “ottani bianchi”, che si fanno essiccare al sole per circa un mese o venti giorni. Quando i fichi sono ben secchi, si mettono a scottare in acqua bollente in una “callara” di rame per alcuni minuti, al fine di far loro acquistare morbidezza e nel contempo per distruggere eventuali microbi dannosi. Subito dopo, si avvolgono i fichi in una tovaglia di lino, in modo tale da far defluire in modo lento il vapore residuo della scottatura. In ultimo, i fichi vengono ricoperti da un leggero strato di farina e aromatizzati con profumate foglie di alloro. I fichi secchi venivano conservati in una cassetta di legno sino all’inverno, quando venivano consumati soprattutto nel periodo natalizio.
Il tartufo d’Abruzzo
L'Abruzzo è terra eletta per i tartufi. Dai boschi delle aree interne fino alle pinete marittime della costa, il ricercatissimo fungo è presente nella nostra regione con una eccezionale ricchezza qualitativa e in quantità significative. Sapori e odori intensi e inconfondibili, quelli dei tartufi abruzzesi, che meritano un posto di primo piano nel panorama delle produzioni italiane di qualità, spesso, e a torto, identificate con le più famose produzioni di altre regioni. Una consistente fetta della produzione complessiva regionale è rappresentata dal tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum) e dal tartufo bianco (Tuber magnatum). La prima specie particolarmente diffusa nell’aquilano, (soprattutto nella valle Subequana) la seconda trova ampie zone vocate nella provincia di Chieti (valle del Sangro). Altre specie importanti per diffusione, dalle aree costiere fino a quelle più interne sono: il tartufo nero estivo o “scorzone”(Tuber aestivum) e il tartufo bianchetto o ”marzuolo” (Tuber borchii). Il pregio del ricercato fungo sotterraneo, legato in particolare al profumo che emana, varia anche in base alla grandezza e regolarità delle forme. Alcuni esperti sostengono che i tartufi migliori sono quelli raccolti in dicembre, durante il periodo di luna calante.
Il miele
Questo magico alimento che le api raccolgono posandosi su migliaia di fiori, elaborano nell’ alveare e fanno maturare nei favi di cera, è strettamente legato al territorio e alle fioriture prevalenti. Tutti i mieli non riscaldati contengono enzimi che li rendono un alimento vivo, diverso dai prodotti industriali. Gli enzimi derivano dalle secrezioni ghiandolari delle api e rafforzano i nostri anticorpi. Il miele contiene zuccheri semplici, glucosio e fruttosio, oltre ad acidi organici, sali minerali, enzimi ed altre sostanze che lo rendono un alimento unico, che deve tutte le sue caratteristiche alla natura, senza alcuna manipolazione da parte dell'uomo. La ricchezza di fruttosio conferisce al miele alcune proprietà che gli altri alimenti dolci non hanno e cioè di poter apportare all'organismo calorie prontamente disponibili e assimilabili. Appena estratto dai favi il miele è liquido, verso l’autunno, quando le temperature scendono tra i 24° e i 4°, il miele cristallizza, cioè subisce un processo naturale che lo trasforma gradualmente da liquido a solido. In questo processo l’origine botanica determina la differenza di quantità di fruttosio e glucosio e influenza, insieme alla temperatura, la consistenza e la forma dei cristalli. Tutti i mieli quindi cristallizzano, quelli con maggior contenuto di fruttosio in modo più lento, con cristalli più fini e a volte anche in modo incompleto. Per rafforzare e mantenere sano il proprio organismo non si potrà quindi rinunciare al miele. In Abruzzo, la grande varietà e ricchezza di flora e di ambienti con microclima diverso, determina la produzione di numerosi mieli monoflora e cioè ottenuti in modo preponderante da una sola qualità di fiore e poi, diversi mieli millefiori. Nella montagna appenninica abruzzese ci sono diversi mieli monoflora come quello di santoreggia, sideretis o stregonia, castagno e marrubio mentre i mieli millefiori di montagna sono invece quelli prodotti da apiari posti a quote superiori a 800 metri. Recenti studi condotti sull’Appennino abruzzese hanno infatti evidenziato come la particolare ricchezza in biodiversità naturale presente in regione, sia direttamente proporzionale all’altitudine montana. Così, dalle aree collinari a quelle oltre la quota di 800 m si assiste ad uno straordinario aumento di fioriture dei prati di montagna che si traduce nella produzione da parte delle api di mieli millefiori di montagna dai profumi e dai sentori particolari e tipici. Altri tipi di mieli monoflora si producono in diverse aree della regione e tra gli altri possiamo citare, il miele di lupinella, di sulla, di acacia, di melata, di girasole, di erba medica. La grande varietà altimetrica, paesaggistica e territoriale, si riflette in una grande varietà botanica e di flora mellifera e tutto ciò rende veramente importante il nostro patrimonio di mieli. Basti pensare a zone di produzione di notevole valore, come la zona del Sangro, le aree montane dei parchi nazionali abruzzesi, le mille colline che si specchiano tra mare e montagna.