GASTRONOMIA

Gastronomia Una cucina quella Abruzzese che ha molte anime, per la varietà del territorio e delle culture che in essa convivono. C’è l’evoluzione della cucina agropastorale, quella dei contadini e dei pastori “poveri” delle zone montane e pedemontane, fatta di piatti semplici e saporiti, di carni ovine, zuppe, minestre, formaggi ed erbe aromatiche e quella colta e “borghese di Teramo, capace di valorizzare sapori primari con preparazioni più complesse: timballo di scrippelle, “mazzarelle”, virtù. E poi la cucina marinara che lungo i centotrenta chilometri di costa declina la varietà del pescato con semplicità e sapore, sposando il patrimonio di ortaggi e verdure delle colline a ridosso della costa.

IL COATTO, LU CUATTE

Il coatto, lu cuatte in dialetto, è uno spezzatino stracotto che si prepara con la carne di pecora o di castrato. Si fa cuocere con cipolla, aglio, salvia e rosmarino, maggiorana, salsa di pomodoro, olio extravergine d’oliva, vino Trebbiano d’Abruzzo, sale, pepe e peperoncino. La carne si fa sbollentare per un quarto d’ora, quindi la si scola e la si risciacqua con acqua fredda. E si rimette poi in un tegame di coccio con tutti gli altri ingredienti, con acqua, ma non con il vino, e la si fa cuocere per tre-quattro ore. A metà cottura si aggiunge il vino. Il nome di questa specialità deriva dalla parola latina cactus, che significa “ristretto”. È un piatto legato alla pastorizia, ed è tipico della montagna di Arsita, in provincia di Teramo.

LA CORATELLA D'AGNELLO

La coratella d’agnello è un piatto fondamentale in ogni colazione di Pasqua che si rispetti, accanto alla tipica Pizza di Pasqua e del salame. Ma questo tipico piatto della cucina d’Abruzzo si trova anche in altri momenti dell’anno, quando viene servito come antipasto, o, più di rado, come secondo. La coratella è un gustosissimo piatto fatto con le interiora dell’agnello, cioè i polmoni, la trachea, il cuore, la milza, le animelle e i rognoni. Per prepararlo servono anche cipolla, sale, pepe e olio, peperoncino, rosmarino, alloro, vino bianco e uno spicchio di limone. La coratella viene tagliata a pezzettini e fatta rosolare con la cipolla, precedentemente imbiondita con olio e peperoncino; quando è ben rosolata si aggiungono rosmarino, sale, pepe e alloro. Infine si bagna con il vino e si fa cuocere per un’ora circa.

LA FRACCHIATA

La fracchiata è un piatto che ha le sue origini addirittura nel Seicento, ed è un classico esempio di cucina povera, visti gli ingredienti con cui si prepara, farina di ceci e cicerchie, alici, peperoni dolci secchi e olio. Il suo nome deriva dal latino “frangere”, che vuol dire tritare, macinare. Si prepara una polenta di granturco, facendo cadere a pioggia la farina in acqua leggermente salata portata ad ebollizione. A parte si friggono le alici in olio d’oliva. La fracchiata si condisce con l’olio di frittura e le alici fritte. A piacere, si può condire con aglio, olio e peperoncino e con peperoni dolci secchi, fritti nello stesso olio delle alici. Oggi è un piatto leggermente in disuso, perché le cicerchie si trovano sempre più di rado. Ed è un peccato. Perché sarà un piatto povero, ma è croccante e gustosissimo.

LA TJELLA, CIABBOTTA

Strano, ma vero, la tjella, o la ciabbotta, come preferite chiamarla, è un piatto vegetariano, cosa piuttosto rara nella cucina abruzzese. È diffusa in tutto l’Abruzzo, con nomi diversi a seconda delle zone. Si consuma soprattutto l’estate, sfruttando le verdure fresche di stagione, ricche di vitamine, come patate, peperoni dolci e pomodori, specie importate dall’America e diffuse anche in Abruzzo. È infatti dalla fine del Settecento che esiste questa ricetta, che comprende anche melanzanee zucchine, che si cucinano con l’aggiunta di cipolla, prezzemolo, aglio e olio. Il tutto viene messo a strati in una teglia da forno (da qui il nome “tjella”) e fatto cuocere in forno a calore moderato. La tjella si serve in terrine di coccio da un manico solo, e si sposa alla perfezione con un buon bicchiere di Cerasuolo. Esistono varianti che prevedono carne o baccalà.

LE CORDE DE CHIOCHIE

Le corde de chiochie sono dei maccheroni alla chitarra a sezione più grande, diffuse nella zona montana e pedemontana della provincia di Chieti. Si preparano con farina di grano duro, acqua e chiare d’uovo. Una volta creata la sfoglia, questa va ripiegata, come se si arrotolasse una sciarpa, e poi tagliata con il coltello. In questo modo si ottiene una pasta più spessa. Il condimento tipico di questa specialità è il sugo d’agnello o quello alle tre carni (agnello, manzo e maiale). Questo tipo di pasta ricorda nella forma i lunghi lacci di cuoio che un tempo servivano a legare alla caviglia i calzari dei pastori, detti le “chiochie”. E per questo prendono questo nome. Nella zona della Valle del Sagittario, in provincia dell’Aquila, la pasta di questo tipo è chiamata appunto “stringhitelle” (dalla parola stringa, laccio). Si accompagna bene a un vino rosso fermentato giovane o a un Cerasuolo d’Abruzzo.

MAZZARELLE ALLA TERAMANA

Primo o secondo? Ci sono piatti che, per la loro versatilità, vengono serviti sia come primo che come secondo piatto. Uno di questi sono le mazzerelle alla teramana. Sembrano un secondo, e da molti sono considerate in questo senso. Ma la maggior parte delle persone le considera un primo, anzi “il” primo per eccellenza del pranzo di Pasqua. Le mazzerelle sono una coratella di agnello avvolta in foglie di indivia e legate dalle budelline dello stesso agnello. Si possono servire semplici, cotte in un soffritto che ne valorizzi il sapore, oppure in umido, con un sughetto che raccolga il sapore degli umori dell’agnello.

‘NDOCCA ‘NDOCCA

È un piatto della cucina povera di un tempo tipico della zona del teramano. La ‘ndocca ‘ndocca si prepara con la parti meno pregiate del maiale, come il muso, le orecchie, i piedi, la coda. Alcuni aggiungono anche qualche pezzetto di sangue lessato in precedenza, che dà al brodo che compone il piatto una consistenza più densa. Dopo essere stata lavata e lasciata in ammollo per alcune ore, la carne viene tagliata in piccoli pezzi – di qui il suo nome – prima di procedere ad una lunga cottura con erbe, spezie e pomodoro. Viene servita calda o fredda, ma non senza belle fette di pane casereccio. Perché del maiale non si getta via niente!

‘NGRECCIATA

Siamo ancora nel teramano, nella Val Vibrata per la precisione, con questa zuppa che arriva insieme alle rondini. Carciofi, fave, piselli e cipolline fresche, patate e pancetta: con i suoi ingredienti, molto simile, ad esempio, alla classicissima vignarola romana o alla sicula frittedda, questo piatto fa subito primavera in tavola… un po’ come le rondini. Una ricetta semplice e una cottura abbastanza veloce caratterizzano questa specialità che viene direttamente dall’orto.

PALLOTTE CACE E OVE

Come si può intuire facilmente dal nome, le pallotte cace e ove sono delle polpettine a base di formaggio e uova, e pane. È uno di quei piatti che nascono dalla tradizione contadina, e che sono considerati poveri, vista gli ingredienti, che non prevedono la carne. E che oggi sono un esempio sopraffino di cucina, oltre che uno dei simboli della cucina abruzzese. Per preparare queste squisite polpette servono pecorino semi-stagionato, formaggio di mucca semi-stagionato e parmigiano, tutti grattugiati, uova, mollica di pane raffermo grattugiata, e poi aglio e prezzemolo tritati e pepe nero. Il tutto si amalgama e si impasta, per poi creare le polpette, da friggere in olio d’oliva. Si condisce con una delicata salsa di pomodoro, fatta con cipolla e basilico. Porose alla vista, e dal gusto pieno e corposo al palato, le pallotte cace e ova vivono del contrasto tra il sapore intenso del formaggio e quello più delicato del pomodoro. A proposito dell’abbinamento tra uova e formaggio, che si trova in molte ricette locali, secondo molti sarebbe alla base anche della carbonara, che pare sia nata sull’Appennino abruzzese alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando, a questi due ingredienti, fu unito il bacon, cioè la pancetta, portata dai soldati americani…

PASTA FATTA IN CASA AL RAGÙ DI PAPERA

Cucinare la papera è una tradizione che appartiene a tutto l’Abruzzo, ma soprattutto alle province di Pescara e di Chieti. Tipicamente si usa servire la papera nel periodo della mietitura del grano. Per condire la pasta, la papera viene tagliata a pezzetti e leggermente infarinata, e rosolata nell’olio. Si toglie la carne dall’olio, si aggiungono sedano, carote e cipolle tagliati a dadi e si fanno rosolare. Una volta dorati, si aggiunge di nuovo la carne e si sfuma con Montepulciano d’Abruzzo. Una volta evaporato, si aggiungono alloro, rosmarino, pomodori pelati, peperone dolce e si cuoce a fuoco lento per circa un’ora e quarantacinque minuti. Il sugo ottenuto si accompagna solitamente a una pasta tipo le sagne a pezze, un po’ più lunghe.

PECORA ALLA CALLARA (PECORA ALLA COTTORA, PECORA AL CALDARO)

Se vi trovate nel teramano la chiamerete pecora alla callara, se siete nell’aquilano pecora alla cottora. La sostanza non cambia: si tratta di un’antica ricetta diffusa nelle fasce montane di queste zone. Probabilmente la sua origine è legata alla pastorizia e alla transumanza, quando i pastori, nella via dall’Abruzzo alla Puglia, usavano consumare la carne delle pecore morte di fatica o ferite cuocendola in paioli di rame, chiamati appunto callara o cotturo. La ricetta varia da zona a zona, ma rimane quella che è la sua particolarità principale: la lunga cottura, da quattro a sei ore, con fuoco medio forte e costante. Tutto questo tempo è necessario perché la carne della pecora, piuttosto dura, possa sciogliersi. Legate alla tradizione della pastorizia sono anche le erbe che si usano per la cottura, quelle che i pastori trovavano sul loro cammino: timo, alloro, rosmarino, cipolla, peperoncino. Una volta si usava consumare la pecora tutti insieme intorno al fuoco, bagnando il pane nella pentola usata per la cottura. Ma è un’usanza che oggi è andata perduta.

PIZZ'E E FFO'JE

La pizz'e e ffo'je è una pizza di mais con le verdure, un altro piatto povero, di quelli nati per recuperare gli avanzi della cucina. Si prepara una pizza con la farina di mais, e si fanno bollire le verdure in acqua salata (verza, broccoli, bietola, cicoria). In una padella si fanno rosolare i peperoni secchi, senza i semi, e nello stesso olio, fuori dal fuoco, si mettono le sarde, che con il calore si spappolano. Così si ottiene un gustoso condimento: si rimette tutto nella padella, con i peperoni e la verdura, e la pizza a pezzetti, e si unisce il tutto.

SAGNE A PEZZE E CICERCHIE

La cicerchia è un legume che è sempre stato usato, per le sue proprietà, come sostituto della carne. A causa della sua bassa resa, delle difficoltà di coltivazione, e anche dei mutamenti nelle abitudini alimentari, la cicerchia oggi non si trova quasi più, e quindi è sempre più difficile trovare le ricette che ne fanno uso. Per condire le sagne a pezze, pasta tipica abruzzese, con le cicerchie, queste vanno messe a bagno per due giorni, cambiando l’acqua due-tre volte al giorno. Poi si lessano in acqua fredda, con aglio e sale, si porta a ebollizione e poi si fa cuocere a fuoco lento. A parte si soffriggono pancetta, cipolla, pomodori e peperoncino piccante, e al tutto si uniscono i legumi. Ed ecco il condimento per le sagne a pezze: aggiungete ancora olio, prezzemolo tritato e pecorino grattugiato, e il gioco è fatto.

TAIJARILLE FASCIULE E COTECHE

I legumi sono stati sempre importanti nella cucina abruzzese. Un tempo, grazie al loro apporto calorico e proteico, in assenza di carne, erano preziosissimi. Ancora oggi molti piatti sono legati a questo alimento. Come i taijarille fasciule e coteche, una pasta fatta in casa solo con acqua e farina, stesa fino a un medio spessore e tagliata con il coltello (da qui viene il nome), che viene condita con i fagioli e le cotiche. A completare la ricetta servono un battuto di prezzemolo, lardo, pomodori, sedano, aglio, origano e cipolla. Con pecorino abruzzese e peperoncino piccante da aggiungere a cottura ultimata.

TRIPPA ALLA PENNESE

La trippa alla pennese è forse il piatto più famoso di Penne, località del territorio vestino in provincia di Pescara. È un piatto unico, e per prepararlo, oltre alla trippa, servono prezzemolo, alloro, mentuccia, maggiorana e peperoncino. La trippa di vitello va sciacquata almeno cinque volte, tre in acqua calda e due in acqua fredda. Poi si taglia a striscioline e si fa rosolare in olio con sedano e cipolla; si aggiungono gli aromi e il pomodoro, si diluisce con acqua e si fa cuocere a fuoco lento per un paio d’ore. Si può servire con pecorino o parmigiano grattugiato. Si gusta accompagnata da Montepulciano o Cerasuolo. È un piatto tipicamente povero: si narra che un tempo la gente si riuniva nei pressi dei fondaci dei palazzi baronali dove venivano mattati i vitelli, e che i signori, destinatari dei tagli più pregiati della carne, ordinassero di lasciare la trippa a coloro per cui era il principale alimento settimanale.

FIADONE SALATO

Vi abbiamo parlato del fiadone dolce. Ma esiste anche la sua variante salata. È una sorta di pizza rustica ripiena di uova e formaggio, dalla superficie esterna soda e compatta, e da una pasta interna dorata e fragrante al sapore di formaggio. Per prepararlo servono la caciotta frentana o il rigatino, parmigiano, lievito per dolci e uova. Recentemente si è diffusa molto la versione mignon del fiadone, una sorta di raviolo salato, che si trova spesso in molte panetterie e forni.

TRIPPA TERAMANA

Nella zona del teramano le interiora, cioè la trippa, sono sempre state apprezzate e usate in cucina, anche in virtù della grande presenza di allevamenti bovini e di mattatoi. Non può mancare allora anche una ricetta di trippa alla teramana. Per prepararla, si taglia la trippa a striscioline, si fa sbollentare in acqua con due cucchiai di aceto e si lava in acqua fredda più volte. Si cuoce quindi con olio, cipolla, sale, aglio e acqua per un’ora. Si aggiungono le spezie, come il prezzemolo, il timo e la maggiorana, pomodori spezzettati, pepe e peperoncino. Si cuoce fino a che le striscioline di trippa sono morbide e amalgamate con il sugo di condimento.